POST HIT: luglio 2012

domenica 29 luglio 2012

Summer sombre souvenir

ATTORI:


Lei viene dal mare del Nord
E indossa orecchini di perle
Lui un figlio della pianura
Completamente inerme.

(Inerme
Imberbe
E quando sono nudo
Penso sempre "come un verme").


SVOLGIMENTO:


La luce che filtrava dalla finestra quella mattina li svegliò prima del solito.
Capirono che era arrivata l'estate.

...

(Reperto n. 1: Un biglietto ferroviario per V. infilato a metà dell'Esquisse Du Judgement Universel)

...

Il ricordo, vago, della loro prima conversazione: dovevano aver parlato della fase gipsy dei Beatles, gli ostelli di Dharamshala e, a lungo, della guida a sinistra (o a destra?) nei paesi del Commonwealth.

...

(Reperto n. 2: Un braccialetto di cuoio passato dal polso di lui a quello di lei)

...

Nella sua ultima settimana, un gelato al giorno da GROM

...

Le scommesse dei comuni amici, su quando doveva finire.

...

(Reperto n. 3: Il suo ultimo SMS: I would've known u better (or something))

...

Lui la pensa ogni tanto, quando ascolta per caso alla radio una certa canzone. Lei, non è dato sapere.
Sono tornati entrambi a vivere nelle loro città d'origine.
Non hanno notizie reciproche da mesi.



martedì 24 luglio 2012

NON BASTA MAI







Facevamo lunghi aperitivi senza cena,
lasciavo molti libri a metà in quel periodo,
e poi decine di film cominciati appena;
li guardavamo due minuti, neanche il tempo che finissero
i titoli di apertura con il nome del produttore
esecutivo scritto in grande (più grande degli altri)
con la musica magari e tutto il resto che
già eravamo a rotolarci sul divano, a contorcerci
come animali selvatici, era più forte di lei,
dev'essere per questo motivo che non sono mai 
diventato un grande cinefilo,
e stavamo pomeriggi interi a bere vino e
fare l'amore come dei folli, ed era tutta rose e fiori.

Non credere che fossero filmetti,
intendo mi è capitato anche con Antonioni, Godard
o Hitchcock (mai con un Fellini), insomma capitava
anche con i migliori, era proprio una malattia
la sua credo; ce n'erano anche altre in giro
che m'invitavano a casa loro a vedere film
anche nella notte, con inviti pretestuosi eccetera
però di solito aspettavano che passasse una mezz'ora
buona prima di farsi sotto, e io non riuscivo mai ad entrare 
nella trama.

Il gioco è questo: entrare nella trama.

Li riguardavo anche, alcuni di quei film, da solo però, e
mica tutti, alcuni soltanto
(quelli con le partenze migliori?
non ricordo in base a quale criterio li scegliessi).
Una cosa è certa: non ci si deve mai fidare delle 
recensioni sul retro delle custodie.
Non ne bastava mai, di tempo per far l'amore
di qua e di là come un cane in calore.
E non è che fosse sempre il paradiso ad essere
proprio sinceri.


Rivoluzioni saltate, appelli mancati,
ore di studio gettate dalla finestra,
cene appena abbozzate;
apparecchiavo anche la tavola magari, ma
spesso l'acqua che lasciavo sul fuoco per la pasta
era evaporata tutta quando ritornavamo in cucina.
Pentole bruciate. 
Ci si ricorda che si deve anche mangiare
quando si sente odore di acciaio tostato.
Quasi sempre era troppo tardi e mandavamo per aria
tutto.
Bicchieri di martini lasciati a scaldarsi per ore,
e il ghiaccio era tutto sciolto e il martini tutto 
annacquato. Li bevevo ugualmente,
che altro potevo fare?

Racconti non scritti e amici trascurati; lasciavo
le persone e le pagine a decantare come il rosso,
spesso le ritrovavo migliorate sul serio, se mi  capitava
la fortuna che non mi avessero
mandato a cagare nel frattempo.
Le persone se la prendono, le pagine mai.


Succede così: ci mandiamo anche a cagare, ma
siamo solo uomini in fin dei conti, e un po' di
leggerezza non guasterebbe a volte.


Feste alle quali alla fine non partecipavo;
avrei voluto mi vedesse mia zia quella volta
che ho saltato a piedi pari non so neanche
più che importante evento familiare cui ero
stato caldamente invitato ad andare;
per questo motivo non parlo più con la maggior parte
dei miei parenti, devono essersela proprio presa, 
avrei proprio voluto mi vedesse, lei e tutti quanti,
mentre stavano seduti a tavola con i posti cha avevamo
lasciato vuoti, mentre noi si beveva birra, sulla collina nella 
sera che bruciava, a quel concerto, era estate,
e poi giù di nuovo verso la città a fare l'amore
e sui prati dei parchi la notte, in macchina
come conigli, e di qua e di là
ce n'era davvero da raccontare, e il tempo
non bastava mai per l'amore.
Solo per l'amore,
Solo per l'amore, capite, tutto questo.
Ce ne vuole di tempo, non bastava mai.


Non ne basta mai.

SMARTPHONES, STUPID PEOPLE





[Quest'estate tornano di moda i lanciafiamme]



Uomini parlano con l’ignoto sbraitando attraverso le cuffiette;
parlano da soli con lo smartphone e sembrano tanto coglioni;
intendiamoci subito, vorrei stringere loro la mano, sul serio.
Ce ne ho uno affianco a me, in piedi, dentro questo bar insipido di provincia.
Ci dividono in fin dei conti  tre metri d'aria da un lato all'altro del bancone,
due martini e cinque/sei anni di differenza d'età a mio favore, una manciata di centimetri
fra abbigliamento e biancheria intima che abbiamo addosso. Così a occhio.
Quella sarebbe la questione. Parlarsi.
Diamo nomi a barriere irreali. Il nome della mia adesso è "combo pantaloni bianchi/mocassino arancio/abbronzatura artificiale/cadenza al telefono da stronzo".
E' che non mi viene un nome più corto al momento; sia chiaro: niente in contrario ai mocassini.
Sono le combo che ti rendono insopportabilmente aderente ad uno stereotipo.
Avete presente tipo i ragazzoni veneti che migrano ad Ovest, verso Milano magari, a studiare in un
prestigioso ateneo (magari privato) economia & marketing?
Non è ho trovato uno fin’ora che non possieda un paio di Hogan. E le Hogan non sono mocassini, ma diciamo, un livello successivo di status. Bè non capisco un cazzo di scarpe e va bene così.
Chiedete loro. Resterete stupiti. E ce le hanno perché è lo standard cui mirano ciecamente,
a cervello spento, che li ha spinti a comprarle.  Sono davvero orrende.
Ma cazzo andate ad un aperitivo nei posti più tristi e fatevi un idea. Lanciafiamme. Quelli sono malauguratamente fuori moda. I muri non passano mai di moda.
Ma impareremo presto ad attraversarli (come avevano imparato i berlinesi, come hanno fatto i messicani; come fanno ora i palestinesi, da qualche parte nelle notti della striscia).
Ecco cosa è invalicabile. Lo stereotipo. Un cliché sociale passa tutto attraverso gli estratti conto. 
Roba SERIA.
Ma sarebbe solo questione di parlarsi, cazzo.
Ora vorrei parlare a questo tipo, vorrei che riuscissimo a dirci delle cose mettendo da parte i nostri reciproci pregiudizi.
La butto lì,  ironico e pateticamente coglione,
- Si può sapere che cazzo hanno di speciale ‘sti smartphones?-
faccio allo splendido, ridendo;  mi guarda dall’alto verso il basso e ritorno, ecco mi ha fissato le scarpe. Non ho passato l’esame d’ammissione credo.
-Scusa che cazzo vuoi?- fa.
-Eugène, piacere- mi presento, faccio per stringergli la mano, si ritrae schifato.
-Senti coglione se hai intenzione di rompere le palle a qualcuno hai scelto la persona sbagliata- si sistema il vestito, fa cenno alla barista per pagare.
-Vai a rompere da un'altra parte, o ti spacco la faccia- , ha detto proprio così. 
Gli rido in faccia.
Certo che lo stereotipo è una certezza comoda.
E’ un deserto.
Connettività roboante: telefoni che ti fanno, ci manca poco, anche la lavatrice e ti collegano con il mondo intero e non si è più nemmeno in grado di rispondere ad una semplice domanda da curiosi? 
Vedo solo voragini sociali bianche e solitudini di gruppo. Lui è uno di queste e mi fa pena. Mi faccio pena. Mi fa pena questo bar del cazzo e decido di lasciar perdere.
Mi chiudo in un silenzio stupido, ritratto come un animale che fiuta il territorio, pelo ritto, fermo.
Lo fisso, questo tipo, mentre paga ed esce fuori.
Siamo stupidi.
-Stronzo, vergognati! Dar fastidio alle persone a questo modo! Vaffanculo, vai a lavorare!- mi fa , uscendo indispettito & impettito come un pavoncello . Faccio spallucce e rido. Eccomi di nuovo solo col bicchiere. Certo che alla gente le domande mettono proprio una paura bestia. La fifa.
La mettono tutta sul personale. E io non ho ancora capito che cazzo hanno di speciale gli smartphones
né m'è mai riuscito di capire niente a proposito delle lamentele delle madri 40enni riguardo la propria diminuita sensibilità clitoridea.
Eccomi di nuovo solo con il bar.
Una coppia di ragazzi  seduti al caffè non sa più che dirsi;  stanno zitti anche loro rimestando i loro capuccini, dal televisore sintonizzato su un quiz a premi un sepolcro abbronzato grida alla concorrente “risposta esatta!!!”
Ma la domanda, la domanda qual è?



UNA CASADIPAZZI








E’ una casadipazzi, un manicomio:
questa modernintellettattualità,
queste relazioni superfisociali,
quest’arte che è un enorme punto di domanda
(che copre lacune e crepe nel muro?)
E una casadipazzi, un manicamion
questa vita-razzo-generazione
ingoiata dentro gli standard del consumatore
tipo, questo modo strano di straparlare
strapagare ore di lavorrido di
zoccoloni coi piedi, lavoratori orali
del telefonnivoro a paga oraria.
Strapazzate, le definizioni s’innestano
nelle cose secche, in aride gallerie d’esposizione-
esplosione, carne da macello, mascellone.
Ieri ho comprato maglieria e mi sono
sentito bene, un enorme punto esclamativo
e abbreviazioni di gioia virtuale hip hip hurrà.
L’hurrà fascio non è hippie, notare
l’esultanza ignorata dei notai alle sotheby’s
(sfregano le mani sottobanco).

E’ una casadipazzi, un manicomio:
che pizza, che schifo, che spono;
le code di macchine alla vetrina di
un istituto di credito non propriamente protetto
improvvisano valzer al clacson, no polizia,
gridano tutti; una cassiera prende sotto
braccio un imprenditore calzato del kalashnikov,
ballano (si stringono le mani di nascosto).
Quest’arte un enorme punto.
Si sa che spesso il punto decide la fine.
Si sa che spesso il punto, il punto della
situazione decide la finestra.
E’ una casadipazzi, un manicomio:
il livore virile degli agenti integrali
(salutisti nel frigo, caramelle da
naso dentro il taschino)
degli agenti di commercio,
degli agenti immobiliari, immorali,
immobili.
La morale è il male. Il normale è il male.
La normalità del sorriso degli agenti borghesi
in borghese: nei circuiti sociali, integrati, blaterano
ai bar; barche, barbarie,barbie nuove per la figlia
blaterano e blaterano ai bar, bartali coppi moser
un gewürztraminer, barriscono,
barcollano, barlano e barlano
di ciò che gli bare.

E’ una casadipazzi, un manicomio amico,
questa attuale distanza fra il successo e
il succedente; il succedaneo non cura niente.
Ieri ho comprato artiglieria e mi sono sentito
più sicuro; più sicuro allo scuro: due rivoltelle,
due mortadelle, un bacile di fucili,
ventiquattromila baci, tre eiaculazioni
precoci, un ananas e due bombe a mano.
Amano le bombe, da qualche parte,
qualcuno le vuole dare a tutto il mondo,
donarle all’intera “umanità”.
E’ una casadimatti: dibattiti, televisione,
politica, acetone televisivo, insalate
di riso (che abbonda sulla bocca degli stoltinsulsi,
non diceva così la maestrina?)
Gradisce un digestivo?
Pornofarcie, minigonne antistupro,
analfabebetismo di ritornitorincoglioniti
di ritorno dal panettoncinemautografo.

E’ una casadipazzi, un manicomio.
Ma dove si sono nascosti tutti?
Matti veri, non assicuratori alienati,
ingegneri nevrotici, spasmodelle
idiote!
Matti veri, da legare, da amare amaramente
amare; da farne pupazzi in plastica da
vendere accanto alle barbie a natale,
alle pistole vere, alle finzioni reali,
accanto ai ken mckent campioni di
cumshooting .
E’ una casadipazzi, un manicomio, amico mio;
moci senza manici, sensi senza voci,
densità alienata, PIL, produzione, abduzioni,
circonduzioni circensi, censimenti,
menti censite, recensite, incensate,
incesti e incesti, una casa di pazzi amico.





I RAGAZZI ALLE PORTE







Le matricole sorridono ai ragazzi alle porte.
I piccoli uomini seduti sulle panche di legno dell’atrio,
dentro la sala d’aspetto prima del varco universale del grande cambiamento
sociale post-teenage.
Le ragazzine si danno una controllata in bagno, devono essere carine
per studiare. Cercano amore disperato e leggono Simmel alla cazzo.

I ragazzi alle porte, che fumano.
I ragazzi alle porte, guardano verso i bar. Fanno discorsi strani.
Tutto questo sapere gli ha reso la semplicità indigesta, anzi impossibile.
Sono immersi nella grave complicanza della non-banalità.
Non sono in grado di scelte ingenue né di apprezzare cose  fatte con le sole palle.

Stanno male.

Le picc0le donne agitano i capelli davanti a loro.
Chi prenderanno con sé stanotte?
Lì fuori il cameriere geme. La piazza gira in tondo mossa dalla sua mandibola impazzita.
La piazza ruota attorno al suo incontrollato smandibolare.
Lì fuori la ragazza ai tavoli sbadiglia, la vita le rimbomba in testa, il cranio una conchiglia,
il mare le rimbomba in testa. L’MDMA le rimbomba in testa. La piccolezza le rimbomba
in testa. La vita le fa pena.
I ragazzi alle porte, varchi alla maggiore età, sicuri della radiosa carriera futura
che li attende, giovani speranze, certi che la luce è loro.
E le tenebre solo un altro problema, fuori dai loro discorsi.






sabato 21 luglio 2012

Gruppenbild nach 10 Jahren

Un'autoarcheologia # 6


Sembra che ci abbiano rastrellati tutti
(Ma non come deportati, proprio come le foglie
Morte nel parco di via Fornaci)
Per portarci al Bar Esther stasera
Ognuno con dipinto in mano
Lo stesso bicchiere di dieci anni fa

...

(A casa ho caterve di custodie
Senza più i C.D. dentro,
Finiti a decine sotto i tappetini
Delle macchine dei miei amici)

...

E certo a guardarci adesso
Abbiamo tutti fatto la fine che meritavamo
Ma le ore infinite passate
Seduti per terra o a testa in giù
A parlare del futuro
Quella cosa minacciosa & incredibile
Che alla fine siamo noi, qui & ora
&  tutte le tazzine di caffé
Usate come posacenere
& svuotate nel secchiaio la mattina dopo
A guardarle adesso dal buco
Della serratura, dall'asola del nodo
Scorsoio, dal tempo che ora stringe
Fanno un effetto quantomeno strano
- E le lacrime & le preghiere,
Tutte piante & pregate invano.

giovedì 19 luglio 2012

REVISIONE

Sono tornato su di te come una furia,
con una tale foga.
Il gorgogliare impetuoso d'un fiume.
Con la risolutezza d'un uomo rassegnato alla possibilità della morte.
Il rombo della terra che si spezza.
Nella speranza di riavere indietro almeno la paura, 
che t' avevo lasciato impigliata fra i capelli.


A più riprese continuo a tormentarmi.
Tolte le ossa, la carne tutta attorno, gli organi;
tolta la percezione isolata di questa indefinita precarietà,
tolto l'Altro, che sono io?




martedì 17 luglio 2012

Post postumo




Svegliarsi col volto pesto,
Avvolto nel lenzuolo trascinato come un manto,
E lasciare appiccicati sul cuscino
Rebus irritanti su rugbiste interstellari
& feste all'ultimo piano & le Foodkops di St. Marx
- Il pastis del party lo patisco eccome, sono in coma -
& contarsi le ecchimosi sulle braccia
Pensando sconsolato allo stato del kharma
Mentre ormai in frigorifero ho del cibo
Che scadrà dopo la mia partenza
Ed è già ora di fare liste
& inscatolare tutto
Forzando il nastro a riavvolgersi
& l'entropia a farsi un nodo in pancia
E se faccio i conti, alla fine, in tasca
Mi restano tre indirizzi, qualche foto sfocata
& una sottoscrizione alle Mitteilungen
zur christlichen Ikonographie
& di tutto questo posso già prevedere
Non capirò mai se ne è valsa la pena,
Dov'è finita la mia camicia bianca
Né meno che mai, in generale,
La via più breve per il Burggarten.






PRIMAVERA, KREUZBERG








[Kotti]







21 Marzo 2Kxx



tutte queste trippe tossenti
di sfinteri
dappertutto
e l'amore,
l'amore che
è un campo di battaglia
che si compra
in boutique radicali,
crasse, superstilose
anche qui come altrove/

 questo amor que es guerrilla:
questo lupo che ringhia
mostrando i denti
aguzzi, lamine d'osso,
all'ingresso di club
technoise, camminando lungo il red carpet
come una superstar losangelina,
questo sangue,
il sangue che è il nostro pretesto preferito/

le nostre preghiere
rivolte alla notte,
deambulando attraverso
la città segreta,
nel mattino presto, come
piccoli punti visti
da lontano in una visuale aerea,
sognando casa con tre
canzoni in testa,
una sull'altra, una nell'altra/

tutte queste strade percorsi
pareti attraversate ad occhi chiusi
che ci danno un anticipo di come
sarà il chinese sector/

noi s’inseguono ragazze
di qua e di là, e la fortuna
possibilmente, qualche svago,
un attimo di tregua/

ci arrendiamo su materassi
buttati a terra, stendendoci
di traverso, tendendo le labbra al sonno,
ci accasciamo sui pavimenti dei bagni,
ci tuffiamo sul tavolo della cucina,
 apparecchiato
in vista di un' ipotetica cena 
 facendo cadere a terra
bicchieri, piatti e posate,
facendo germogliare il rumore
di quaranta stoviglie che
si frantumano in terra,
godendo di quel trambusto come matti/

tutti questi cieli finti incollati
sul profilo di una città senz'ombra,
questi spettri urlanti che ci chiamano
a gran voce dall’east side,
coro di un teatro lucente,
queste gemme frastagliate che punteggiano
i rami più alti, su su in alto
verso la lieve foschia turchese/

tutti questi soldi che si traducono in
chilometri di scontrini e consumazioni,
in feci, in pisciate fatte con la testa
contro il Muro,
nello Spree che corre giù da Spandau, nero/

tutto questo,
tutto questo,
dove andrà a finire tutto questo
quando sarà alto il sole e avremo
solo da contare allo specchio
tutti i denti che ci siamo rotti a vicenda
nelle notti della nostra giovinezza?



martedì 10 luglio 2012

MUND ZU MUND BEATMUNG






bocca a bocca/

anche stasera
tutto solo/

solo io / tu pure, sola
ma Noi non siamo soli/

tu, con quel disco,
sempre con te/

io, con quel ritaglio di giornale
con sopra Neil Young,
che mi sussurra che
è meglio bruciare che spegnersi
piano/

la zanzara/

la paura/

attendere che sia domani,
aspettando che sia me su di te/

la notte è trascorsa,
il Nostro domani è oggi,
qui sulle tue labbra, ora/



sabato 7 luglio 2012

ENNUI



UKE TIL U PUKE




Devo vomitare, sul serio.

Il lavoro vero al giorno
d'oggi a quanto pare è vendere l'arte a colpi di social,
fare la strada verso le feste ai club con aria distratta
ripetendo fra sé, fra "amici", frasi tipo:
 - che noia la noia, mi sa che sarà un po' una noia,
io sono un po' in paranoia e sono ancora in haaaaaaaangover
dall'after-party dell'after-show dei Caribou,
che poi io li ascoltavo
prima che diventassero un fenomeno commerciale,
che adesso se li ascoltano cani e porci ed
io ed io, io cazzo, a me la chillwave fa cacare, voglio qualcosa di stupefacente -
La barella è un must, l'ero in rialzo.
Benvenuti nel "millennio della droga". 
Questo pronostico l'avevo letto da qualche parte in un libro scritto
da uno psicoterapeuta francese che si era rotto il cazzo d'esercitare,
ha mollato tutto e si è ritirato a farsi di acido sulle montagne
dell'India del Nord.
Credo sia ancora lì a vedere il cielo cacare arcobaleni laser;
comunque il suo vaticinio risale al 1979.
Non esattamente quello che si dice un grande profeta.
Also sprach Zarathustra.
Aujourd'hui se non bevi succo di pera con l'emmedì sei un vecchio bastardo.
È un passatempo modaiolo.
Intanto che ci si prepara a soffrire, a fare i "bravi soldatini",
tutto ha la forma di una voragine bianca d'ennui.
Rigorosamente ben vestiti, in ogni caso.


Cani e porci che ballano su I Cani facendo i porci in pista pista pista
ad una festa festa festa
indie-dreamwave-fettucine-taranta-hip-punkster-noise.
Giusto poco prima che arrivi Last Nite.
O l'ultimo pezzone nu techno.
O, perchè no? L'ultima tamarrata electro tedesca.
Festa che vai pasta che trovi.

Il lavoro vero a quanto ho capito è fregare l'after-shave a tuo papà
per odorare di buono per la fica di turno, s’intende;
fare i fissi, fare i blogger, darsi un tono,
spacciarsi per poeti, scrittori,
registi, l'importante è non far niente sul serio:
- avevo cominciato ingegneria, ma era troppo pesa,
così mi sono iscritto a comunicazione a Ferrara, 
da paura vecchio, è che io adesso lì sto bene,
prima mi trovavo male adesso io sto bene,
io sto bene, io sto bene, io sto bene, io sto bene - 

Devo vomitare.

Devo vomitare miti, fare strage di pattume,
e non ho ancora sviluppato un criterio adatto a discernere.
Un piatto che è sul punto di rompersi suona vuoto.
Con gli uomini invece è diverso.
Si rompono, ma non c'è modo di avere nessun preavviso.
Vivono in una fanta-realtà fatta d’ipotetica onnipotenza
psichica e molta solitudine. 
Vedo vivide viti (“e voi sarete gli intralci”), vocaboli triti e ritriti,
cambi d’etichetta al posto di eversioni d’essenza, ribelli fatti in batteria
che mi fanno (quasi) tenerezza.
- cazzo, sono in after da 7 giorni, non ho un lavoro ma tanto
io i miei li piscio, in culo loro e il loro vecchiume,
voglio la keta, la figa e boooooooh,
è finita la droga vado a prelevare -
Voglio vomitare in faccia ai mitomani imbarellati che,
parlandomi diffusamente di quanto fica sia la loro occupazione,
cercano di vendermi un cazzo di lavoro,
addirittura chiedendo dei soldi in anticipo,
(tutto questo tenendo il loro campari in mano)
ché mi puzzano d'inganno, di merda, più che altro merda.
- sai adesso sono tutti artisti, ma io ma io ma io - tira su dal naso -
sono diverso, ho davvero qualcosa da dire, facciamo una cosa tipo, tipo, tipo.. - 
E così il cerchio si chiude: siamo tutti dei ragazzotti sensibilissimi.
Degli artisti.
Lasciatemi bere in pace, questa è l’ultima volta che lo ripeto.

Devo vomitare, sul serio.
Vomitare sui marciapiedi sotto i portici,
negli antri più bui dei carruggi.
Lungo viali alberati tirati a lucido per la Festa.
In un sottopasso d'una stazione di provincia.
Non importa dove.
Vomitare fuori tutto.


Ora vedo in fronte a me vedove miti (“e voi sarete i tralicci”),
reverendi invadenti e  martiri dovunque,
- mi ci vuole un Martini cocktail -
Devo trovarmi un Dove (il solito problema metafisico)
un Dove cazzo andare, che direzione prendere,
andare oltre il dietro, ritornare nei solchi, dentro fosse
comuni dove sono sepolte le mie radici
ed accanirmi su di loro come una furia,
riconciliarmi, delirare, vomitare. 
- dove cazzo andiamo stasera?, non c'è mai niente
che posto del cazzo, cazzo, cazzo, voglio un cazzo -
In quella foto ci sei tu, c'è un bacio lesbo, c'è un baffo fatto con le dita,
c'è una manica di camicia di chissà chi.
E chissenefrega.
Aujourd'hui le minorenni fanno ingoi senza più bisogno che glielo si chieda.
Le signore divorziate ti pagano per stare steso sui loro costosi divani in pelle
bianca un paio d'ore,  soldi puliti.
E tutto questo è solo ennui. Genuina, pura noia.
Assoluta. Linda e pinta.
Rigorosamente ben vestita, in ogni caso.
Lindo l'aveva chiamata "una fluida divinità".
Comunque la si chiami è quella cosa che ti piomba addosso
come uno sbadiglio.

Dove mi trovo?
Devo vomitare.

Io devo solo vomitare, sul serio.
Dita in gola e fuori tutto.
Prima ci vuole un'altra birra.
Un'altra.
Un'altra.
Una ancora soltanto.
Ed eccomi qui, in ginocchio, a sputar fuori le budella.
Mentre mi esce di bocca la nausea, colando giù fin sulla maglietta,
mi vengono in mente le più belle parole (d'amore?) che mi siano
mai state dette da una donna;
ho un sorriso ebete, la testa galleggia in una brodaglia
blu e "mda quando ci sei tu tutto questo non c'è più"
ed eccole illuminarsi, le parole in questione, assolute,
superbe. Proverbiali. Ce le ho sulla punta del naso.
Ed è decisamente meglio che, almeno queste,
le tenga per me solo.


mercoledì 4 luglio 2012

Laissez faire





La miseria umana 
abbandona
senza voltarsi
un gomitolo di ossa indifese.
Viso miniato a lacrime,
horror vacui.

Sogno o son desto?

Occhi di vetro
assistono
all’omicidio di Gonzago:
ingenua finzione,
ultimo treno per la verità.

Ma l’anima del vile
non è un vaso di Pandora:
nel fondo,
nemmeno un briciolo di speranza
per salvarsi
da se stessa.