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venerdì 1 aprile 2011

D. S. R.

(an open letter to R.)





correndo verso casa,
di ritorno dalla stazione
dove t'avevo lasciata
baciandoti le guance,
(un fiume in piena di domande
messe a tacere sulla lingua)
leccando via le lacrime dalle
tue labbra, il sole è quasi sorto.

la lunga statale dritta
era un deserto turchese con
schegge di luce rosa & avrei
giurato d'esser stato solo,
(non fosse stato per un autocarro
incrociato sulla strada che
ronzava veloce verso il mercato
della frutta); mi credevo di andare
in bocca all'aurora e non addosso
alla fine di quest'assurdo
romanzo sordo, rimasto 
parcheggiato in fondo ad un
binario morto.

era l'alba. la stagione
del nuoto mormorava un blues
nella tua lingua, lo ricordo:
<<at dawn we might be careful
for our love it might rise
at the end of the snow>>.
è stata la tua voce assente a cantarmi
tutto il tempo quelle parole,
ora lo sai.

c'è di più.
giunto a destinazione; di nuovo in porto,
lasciata alle mie spalle la
porta chiusa, ritornato
nella quiete massacrante
di una casa vuota ho raccolto
con cura i segni di te & i tuoi disegni
rimasti sparsi tutto intorno.
le due tazze, come intonse,
della colazione e il piatto
in porcellana sul quale avevi
sbucciato una pesca, il coltello
appoggiato con la lama
impressa del suo succo e
il dizionario idiomatico
english-italiano che
avevi lasciato aperto
poggiato sulla cassettiera
alla pagina <<come ti chiami?>>;
altro non c'era.
così almeno credevo, R.,
invece era l'inizio soltanto.

una volta nudo per la doccia,
scorrendo la mia immagine
sulla superficie dello specchio
del bagno, cercando ragioni
per un male così forte figlio
di una manciata di giorni
spesi insieme (davvero pochi),
ho trovato sopra il cesto
della biancheria sporca un tuo
braccialetto; lasciato lì,
dimenticato. l'ho portato
alle narici chinando la testa
contro il petto, odorandolo
con attenzione come fa
chi stringe fra le mani una reliquia;
il tuo profumo & le parole dolci
che ti dicevo, che mi dicevi:
<<you're so gorgeous baby!>>,
le tue braccia docili e rosee, le
tende pesanti della camera da letto,
quel vento fresco, tutto custodito
dentro quell'affare di poco conto &
di così grande valore per il fatto
che dentro aveva il tuo odore.
lo ricordo.

ci ritornavo forsennatamente come
un cane che cerca una pista da
seguire, e non si da pace.
e latrando di solitudine, mi dicevo:
<<sei cinico.. è tutto vero, è tutto
vero; non pensarci, non pensare male>>.

poi ho preso ad avere sintomi strani;
la mattina pisciavo aghi e altra merda
che non sto qui a dirti e ho capito
che c'era ancora qualcosa che avevi
voluto lasciarmi;
un ultimo, il più significativo, souvenir.
e non sbagliavo.
ricordo più di tutto quel dolore beffardo,
lancinante, che non mi lasciava
nemmeno la notte.
e il dottore fu chiaro il giorno
che mi decisi a farmi visitare:
<<lei deve stare più attento, signor C...>>

in quel momento ogni speranza
si è letteralmente ammosciata, cara R.,
non lo nascondo, ti ho maledetto.

ho maledetto te,
il tuo insignificante bracciale & la collana
che mi avevi dato come pegno, il tuo
italiano stentato e le parole melliflue
che usavi per incantarmi.
ti ho maledetto per una stagione intera
dopo una rivelazione così aspra.
ho lasciato suonare quel disco per
molto tempo ancora & non era più la tua
voce a parlarmi ma quella presenza
orrenda nella mia carne:
<<at dawn we might be quiet
for our bones they might rest
at the end of the snow>>
 perché l'ultima cosa che ho avuto
di te addosso non sono stati gli ultimi
baci della partenza né le tue
mani attorno al collo ma
quest'infezione sul mio sesso.


e gli angeli, non ci vuole un genio
per saperlo, non fanno equitazione
né seminano malanni
per il mondo, sorridendo.

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