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martedì 6 agosto 2013

LA FESTA




in questa questua
è saper fare la ruota

essere capace di torcerti,
imparare a fare salti mortali
capriole contorsioni acrobazie

prenderla con calma,
saper tirare un respiro
prima di rituffarti
nella corsa

soprattutto prenditela comoda
e lascia che ti versino da bere

saperti scentrare sfondandoti,
ridiscendere fino alle fondamenta
del monumento del momento
disfare giù tutto
rifare daccapo tutto e
prendere il rischio, ballare.

è quel che resta che conta.
è la panna che non si smonta;
sono le tue labbra sempre umide
di baci

baci avuti, baci desiderati
e le narici, quelle della città,
e i suoi occhi dappertutto

di tutte le scene e le messinscena del caso
non ne resterà in piedi una
quando si spegnerà la musica 

a niente serve
fare la finta di farla finita
puntare i piedi su questioni
di principio
metterla sul personale
lamentarsi
procrastinare

piuttosto improvvisa
aperitivi estemporanei
alle tre del pomeriggio
amala alla follia
ammalati di qualcosa
ammàliati di tutta la notte che puoi

soprattutto prenditela comoda
e lascia che ti versino da bere

ora sento salire il suono
di quella musica di cui mi avevano detto,
lo sento schioccare nel lento
movimento del tuo paniere scarno,
è un turbinio sussurrato

io non ho mai niente,
tu stessa non hai niente
e questa è una festa

non avere mai nulla da dimenticare,
saper chiedere
né avere mai alcuna pretesa,
saper perdere.















lunedì 22 aprile 2013

AUTOSUFFICIENZA









dalla testa alla tastiera il passo è difficile
la notte singhiozza, ammaliante silenzio: Fitzgerald non aveva un blog
bevo americani come un'italo-americana di seconda generazione
con la preoccupazione
di non piacere ai più, di non avere un domani sul serio
con la fissa fottutta, la fifa, di doversi rendere utile
nel senso che la pistola può avere
facendosi letteralmente sparare in bocca.
su quale labbro ho lasciato appiccicato l'ultimo sorriso utile
con quali passi ho concluso la mia carriera di ballerino
perché non mi ci viene mai di essere anche
solo quattro minuti interessato sul serio
(alla faccenda umana in generale),
o interessante.
gli uomini sono i cani dell'interesse.
dei veri detective: lo fiutano.
io sono fuori di me,
non mi trovo.
non ne ho la più pallida idea.
vero è che la "poesia!" non importa a nessuno
la sentono tutti
ed ognuno, a suo modo,
è un golfista della sensibilità.
cazzate.
ad un'happening.
al tramonto.
mentre l'acqua scroscia
il sole scende
la nazione si arrende.
volevo un disco buono.
un discorso fatto di innumerevoli silenzi
in distese di oblio,
voglio un percorso sciagurato.
la pace mi dà noia.
pugni sono:
i sorrisi affettati
le battute di circostanza.
gli occhi beceri delle amanti
(altrui, pure, come ombre).
la mia solitudine.
dove ho lasciato quei quaderni che mi servivano
da specchio
in quale camera di terza categoria
posso averli dimenticati
abbandonati
volutamente
lasciati a fremere poggiando
su un comodino di noia.
io non sono il piacente
sono quasi morto
ma non m'importa
l'importo delle mie consumazioni
è corto,
il tempo immenso.
io sbiadisco nel racconto inutile
mai sentito
dell'ascolto
stesso
che sé stesso ascolta
auto-zittendosi
finalmente sente
sente
sente
da ultimo
non parla
non radiografa minuto per minuto
non posta
ma vive,
che da dire non c'è rimasto
più niente.





mercoledì 27 marzo 2013

SENZA FINALE

Il bar dove facevo colazione
Mentre studiavamo per la maturità
(Oggi mi sembra ci fosse sempre il sole,
In quell'estate di feste, proteste e biblioteca,
Anche se poi riguardo le foto
& provo imbarazzo per la faccia
Che mi portavo in giro)
Avrà cambiato 4 proprietari nel frattempo
& adesso sembra aver puntato
Tutto sugli aperitivi
Quando io ho un'età in cui oramai
Bisognerebbe trovare il pudore di smettere
& sublimare - Che so, la
famosa "Etica del lavoro", l'orologio d'oro, l'ero
- & in parte è cambiato tutto, e in parte è tutto uguale
Perché uno aspetta sempre che finisca
E di svegliarsi un uomo nuovo, l'indomani
Mentre tutto va sempre così lento
E mi basta niente per tornare
Indietro di un decennio
Ed è meglio alla fine evitare di pensarci
Anche se non serve un metereologo a capire
Che la mia storia è uguale a infinite altre
E si interromperà un giorno a metà pagi-

mercoledì 20 marzo 2013

FUOCO LIQUIDO









lei mi aspettava
stesa sul letto
a cosce spalancate
lussuriosa
toccandosi
con il palmo premuto
contro la sua rosa
carnosa,
avida.

era brava.
le veniva naturale
quel modo;
assolutamente elementare,
non avendo mai avuto
nella sua vita
di ragazza
un attimo per pensare
considerare
farsi venire delle idee
o persino un dubbio
confusa dalla noia
com'era
viveva così:
l'istinto puro.

la sua testolina
era uno scantinato umido
ma c'aveva
il fuoco fra le gambe;
linfa che colava
scrosciando
giù sulle lenzuola
del mondo,
da fare invidia.

sapevo poche cose
come al solito,
una sola quasi certa:
non ero l'unico
- ma che importa -
mi dicevo,
saresti proprio
uno stupido a pretendere
l'esclusiva su una 
meraviglia tale.

e continuavo
a ridere fra me e me
fumando interminabili
notti a mal-di-testa & tonic:
- vedi, questa
è una donna sincera - 
mi dicevo,
la renitenza e la riservatezza
sono doti che stanno
bene addosso
ad una signora a teatro
o nei caffè in cui la gente
conversa
conservando di sé il meglio
per fare bella mostra di tutto
l'amor proprio
di cui capita di gonfiarsi
andando verso la trentina.

ma a letto
una donna intelligente
è una furia succhia-sangue
davvero,
poco importa che sappia
di musica o letteratura.
quello serve per darsi un tono
tra una chiavata e l'altra
o per fare un figurone
con gli amici del club della pipa.


lei era quello che vedevo,
niente trucchi né forzature:
le grandi labbra rosee
bagnate
bisognose di cazzo
e di morsi,
in fiamme.

per quanto non parlassimo affatto
il suo modo era fenomenale,
più vicina al genio di quanto
non lo fossero le frigidone
che frequentavo alla 
biblioteca.
la costruzione dell'apparato loro
circostante costituiva
la peculiare via di fuga
primaria che perpetravano
con infaticabile solerzia
nei confronti della propria
femminilità primitiva
in sostanza
tutta critica e poca poesia,
sublimazione.

non so come sia,
ma un certo punto
deve essere successo
che hanno cominciato a considerare
la propria fica
come un'appendice del
proprio cervello
e i loro uteri hanno preso a
rassomigliare alle pieghe pigre
di un intestino tenue
e so per certo
- me le vedo - 
che, una volta sole,
si masturbano con foga
con tutta la forza che possono
con la stessa energia
con la quale nessuno 
le ha mai scopate
prese come sono a girare
con dottorandi tutte ciarle
e niente genitali
con le mani pusillanimi
che le vedi
e i loro occhi che
non hanno mai visto il fondo
del sacco.

quanto a lei
non saprà mai niente 
di Kieslowski
o del nichlismo russo
ma sa farsi carne
sa far bruciare
come un fuoco greco
il mistero
che mi tiene ancora qui
attaccato a questa cosa,
vita.










martedì 19 marzo 2013

CUORE CANNIBALE










non domandare amore!
questo tuo cuore cannibale
sarà soddisfatto solo quando
ci avrà sfiniti entrambi
con questo gioco di trincea
fatto di abbracci da strafatti
d'aloni di luci che si allontanano
da stringere
e pisciate un po' ovunque,
dove capita,
come cani.

i duri non ballano - già -
ma solo per paura.
nei loro occhi coronati di aureole
d'immobile perfetta santità, fisso,
il terrore di vedere scivolare via 
le loro facce di marmo,
di trovarsi nudi e crudi,
struccati nel ridicolo
spolpati e digeriti
senza più nemmeno un briciolo
di musica di sottofondo.

magari sono belli da vedere,
ma non muovono i piedi.

non domandare amore!
io ho saputo che nel tuo
sguardo alla stazione dentro
il silenzio sottopelle agli sferragliamenti
quello che avresti 
voluto dirmi era altro
e non - arrivederci - .

d'ora in poi e
per tutti gli anni a venire
della tua vita scendi dal treno
e portami a ballare
ma non volere a tutti i costi l'amore,
non lo domandare!
prima che la musica smetta
indossa un filo del tuo sorriso
e lascia che siano i tamburi a fare
il resto

non sono bello da vedere e
ho tutti passi da perfezionare
ma mi sto muovendo
usando tutto quello che ho
sul ritmo accanito
di questi timpani che rimbombano
forsennati
di questo tuo cuore cannibale
che sempre mi fa dimenare
dentro il ventre slabbrato della città













venerdì 15 febbraio 2013

NAUSEA (QUANDO MI LASCI)










<< ...started crashing his head against the locker,
started crashing his head against the locker,
started laughing hysterically... >>

come è strano
e straniante
che questa durezza
sia così fragile.
nulla può interromperla
tutto può spezzarla.

la voce di patti smith
dentro un vinile 
che gira
sul tuo vecchio giradischi
malmenato.
basterebbe così poco
perché il disco s'arrestasse.

solo un alito di vento ancora.
il silenzio della notte
dolciastra
esitante,
che entra dalla finestra
e vela di buio le lampade
e ci fa respirare qualcosa
di denso
umido di freddo.

e ci fermiamo ad ascoltarlo
con l'orecchio teso
i corpi arresi
immobili
intirizziti.

il disco s'è fermato.
da solo.
e si arresta così anche la quiete,
a muoverla è
il fruscio del tuo abbraccio
fra le lenzuola
che mi cerca.

un respiro di brezza
come una chitarra attaccata
ad un pedale a tremolo
rotante
attraversa ancora 
la notte,
al suolo
un mazzo di foglie
sfinite.

e sia:
che nascano
nuove combinazioni
e altri gesti,
attacchi
repliche,
decadimenti
e altre passioni.
senza sosta
nuovi assetti
e costellazioni.

governate da un ordine
inflessibile 
che le fa 
nascere
e le distrugge
senza mai lasciar loro
il tempo di vivere
per sé stesse.

devo accettare la loro morte.
devo perfino volerla
affinché il suono 
possa continuare.

e ci ascoltiamo ora
stesi io e te
nudi in questa
stanza semivuota
la pelle d'oca
lungo la tua schiena
bruna.

devo accettare
che tutto finisca
devo perfino volerlo.

<< some of these days
you'll miss me honey...
and when you leave me... >>





mercoledì 13 febbraio 2013

FLÆÐI




senza fretta
maledico
i tuoi occhi rapaci e timidi
le lacune meschine del tuo corpo
le tue lacrime
il tuo sangue
la resina profumata di menta dei tuoi baci
la tua musica
la tua disperazione/

c'è nella mia bocca
un gusto metallico di scheggia,
d'incudine/

non ho che il mio tocco
per indovinare il tuo corpo
distesa nella distanza,
pelle d'abisso/

un uccello migratore non depone
sul far dell'autunno,
attende d'andare
rivolto al sole fosco
d'ottobre//

senza fretta
mi farò
sbranare dal buio
sbanderò fuori
sfondando nel più buio e
metterò fiori nei buchi vuoti 
del cervello folle della notte
e ascolterò tutti
i tuoi crimini
il tuo gusto
la tua eresia aroma di verità
la tua musica
la mia disperazione/

cenere e carta nella mia bocca
ingozzata/

non ho che il congelarsi
delle parole per dire
la freddezza dell'inverno,
l'abbandono,
pelle d'abisso/

un uccello migratore non dispone
di casa: deve misurare l'istinto
con il tempismo fatale della stagione
e partire nella nebbia insulsa
della pianura//

senza fretta
mi farò
una ragione del fatto
che non sei tu la mia casa
la mia mano
il mio fianco
non sei tu la mia meta
la mia strada 
la mia disperazione

ma il sapore della rottura
che sento acre
sulla lingua
ogni mattino
fra vita e senso//



venerdì 18 gennaio 2013

CONTO APERTO










una notte intera

passata
a  due centimetri dal tuo cuore

tre ore prima che l'alba
parli

suonando
a quattro mani

quanto basta per
costruire l'equilibrio di un accordo

cinque dita sulla tua guancia

e sei fili di lacrime sul palmo

sette vite così con te potrei stare

senza pensare agli
otto aperitivi rimasti da pagare
in uno dei caffè
in cui ci siamo infilati a baciarci,

nove in un altro
per combattere il freddo
e dimenticare

i dieci minuti di delirio
che passeremo

quando sarà l'ora
di andare via di qui
ognuno nella propria
grazia svelata,

sapendo che ci toccherà
tentare di
tenerla segreta.



mercoledì 16 gennaio 2013

I NOSTRI GRATTACIELI







qualche suono poco sopra il silenzio
tu (come una piazza vuota)
serrando la bocca hai
preso per gli occhi
me (come una folla)
facendo segno di tacere
e scesi dal letto 
mi hai portato alla finestra.

tu (come una notte etiope)
a passi leggeri
con gli occhi seri
hai condotto al balcone
me (come un uomo a nudo)
e subito cruda:
- se non mi ami buttati di sotto -

saltando giù ho ringraziato
il cielo che tu avessi deciso
di mettermi alle strette
proprio qui 
in un paese che sta
(come solo un vecchio stanco)
tutto coricato sul fianco