POST HIT: maggio 2011

mercoledì 18 maggio 2011

LOST

Eccola che arriva in parata
La mia ciurma dei pirati
Bende su entrambi gli occhi
Tutti col riporto o rapati
Portano appollaiati sulle spalle
Topi o pappagalli
E a fare da cornice alle occhiaie
Precoci rughe di espressione
Dicono di avere avuto tutte le malattie
Che si possono contrarre
Scambiandosi sangue & saliva
In bettole non segnate sulle mappe
& spiaggiati sul selciato
In piazze di città dell’entroterra
Raccontano storie di guarigioni miracolose
Da pazzie che comunque
Non spiazzano più nessuno

Ma se si sollevano la maglietta
Hanno davvero ferite che arrivano fino al cuore
(Come tatuaggi che non saranno mai di moda
Perché fatti con troppo pudore).

sabato 14 maggio 2011

Alla fine...

Alla fine tutto si risolve nella nostra irresolutezza.
O meglio, vi si complica.
Sappiamo perfettamente ciò che vogliamo e ci rifiutiamo di ottenerlo.
Ci illudiamo: di volere altro, o altro ancora, che il destino, o l'inconscio,che le forze oscure...
ma dovremmo, dobbiamo, in fin dei conti siamo sempre noi.
Perché allora condannarci?
Perché infilarci il cappio al collo e dare allo sgabello l'ultimo calcio?
Perché non pesare i pensieri, e i fatti, i gesti, i rapporti
e poi, sinceramente, senza paura di ferire o ferirsi, agire?
La nostra debolezza è dunque solo debolezza e per nulla duttilità?
Siamo il ramo morto che si spezza, non quello verde che oppone una strenua resistenza
e si piega si piega, si rovescia su se stesso, cedendo tutto e rimanendosi fedele sempre
non quello?
Il ramo morto, chissà da quanto tempo.
E aspettiamo allora, l'accetta che ci liberi dal cieco tormento che è vivere da morti
che è fissare senza vedere, che è il pensiero senza sangue, senza carne
sereni attendiamo quel colpo senza sbavature, secco e deciso
che recida il ramo dal fusto, e poi la mano che ci poggi insieme ad altri e appicchi fuoco a tutto.

mercoledì 11 maggio 2011

ECOSISTEMA

Il secchio è pieno di bava:
sputacchiera colma al tavolo
dell'architetto supremo,
masticatore di tabacco.
L'acqua si cambia solo per
inerzia, sputandoci dentro
ancora & ancora o per via
delle leggi della fisica:
un corpo immerso in un fluido
riceve una spinta dal basso
verso l'alto pari al peso del
volume di liquido spostato
(nessuno ascende mai).
Il sistema inerziale della
stanchezza: la bacinella
trasborda sbrodolando
fuori liquido lattiginoso
impestato di effluvi acri;
a piccole cascatelle giù per
le pareti, il frutto del tuo seno,
gli stronzi stanno a galla, nonostante
il puzzo nauseabondo e le malattie
fanno a gara per sguazzare sopra gli altri.
Il masticatore ride. E' sordo.
Ci caga dentro al secchio, con un ghigno
di piacere ( quel piacere sempre uguale
che ogni essere prova nell'espellere i propri scarti),
poi si gira a guardare soddisfatto, e
scaracchia un'altro sputo catarroso.
Chi sta dentro alla boccia, cerca di farcela,
è contento, o sogna la felicità; la insegue e
fa programmi; dà importanza ad una sfilza di cose
& ride & ingoia bava e merda & se va male
si ripete: "si fa con quel che si ha", " andrà meglio
alla prossima", "più brucia più fa bene".
I più aspettano zitti un miracolo.
Il secchio sempre si riempie mai si svuota,
la merda galleggia, i sassi vanno a fondo
a fare compagnia agli spazzini appiattiti sul fondale;
spazzini d'ogni genere. Iene acquatiche
succhiacarogne leccapavimenti.
I restanti, (il gruppo più folto a dire il vero),
stanno a mezzo, nella calca muniti o meno
di boccaglio ma comunque decisi
a farcela, a spostarsi in una direzione; in sù
o in giù perché dove stanno non va mai
bene: "verso la superficie si starà meglio",
"toccare il fondo è stupefacente".
Forse è lo stesso dappertutto,
dappertutto uguale, dappertutto liquami
trippe e bava.
Importa poco avere gli organi vitali ricoperti
da un corpo di bell'aspetto (o da squame),
avere una camicia con sopra le proprie iniziali
e i gemelli in oro, se stanno per spararci come
carne da cannone; un cannone caricato e pronto ad esplodere
contro la fine immensa. Colpo in canna.
"L'importante è farcela".
Pescetti con poche soddisfazioni: tipo pisciare
dentro quella piscina totale, fare lo struscio,
salutarsi (come se dovessero davvero andare lontano,
in qualche posto distante, per non tornare mai più),
dirsi addio. Sempre sù & giù per lo stagno.
Non è che da lì ci si possa muovere;
non se ne esce vivi.
Il massimo che può accadere è che stando
a pelo di quel mare di sputo rappreso ti succeda
di cascare di fuori assieme al brodo
che trabocca dai bordi del secchio
nel momento in cui si spezza la tensione
superficiale del sistema.
Allora sei un pesce fuor d'acqua.
Allora sei morto.